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 MARCHIO LA MORGIA

 

La Corte di Cassazione, con ordinanza n. 19302 del 19 luglio 2019, riformando la sentenza della Corte d’Appello, ha dichiarato legittimo il licenziamento conseguente al calo dei profitti dell’azienda, qualora nel corso della controversia sia provato il nesso causale tra la predetta motivazione e il licenziamento.

Tale decisione si pone in linea con l’orientamento della giurisprudenza di legittimità che, a partire dal 2016, ha riconosciuto che il giustificato motivo oggettivo si sostanzia in ogni modifica della struttura organizzativa dell'impresa che abbia quale suo effetto la soppressione di una determinata posizione lavorativa, indipendentemente dall'obiettivo perseguito dall'imprenditore, sia esso, cioè, una migliore efficienza, un incremento della produttività - e quindi del profitto - ovvero la necessità di far fronte a situazioni economiche sfavorevoli o a spese straordinarie. 

In particolare, secondo la Corte di Cassazione, il controllo in sede giudiziale della sussitenza del giustificato motivo si sostanzia: “- in primo luogo, nella verifica della effettività e non pretestuosità della ragione obiettiva, per come dichiarata dall'imprenditore (sicchè ove lo stesso datare di lavoro abbia motivato il licenziamento sulla base di situazioni sfavorevoli o spese straordinarie la mancanza di prova delle medesime produce la illegittimità del licenziamento non già perchè non integranti in astratto il giustificato motivo obiettivo ma perchè in concreto si accerta che il motivo dichiarato non sussiste ed è pretestuoso; cfr. Cass. Civ. sez. lav. 15.2.2017 n. 4015); -di poi, del nesso causale tra la ragione accertata e la soppressione della posizione lavorativa (in termini di riferibilità e coerenza del recesso rispetto alla riorganizzazione).”

Il tema riguardante il diritto di controllo del socio non amministratore nelle S.r.l. ha sempre creato in dottrina ed in giurisprudenza posizioni contrastanti.
In particolare, il predetto diritto in capo ai soci non amministratori si fonda sull’art. 2476, c. 2, c.c. a mente del quale “I soci che non partecipano all'amministrazione hanno diritto di avere dagli amministratori notizie sullo svolgimento degli affari sociali e di consultare, anche tramite professionisti di loro fiducia, i libri sociali ed i documenti relativi all'amministrazione.”

Sul punto, la Corte di Cassazione (sent. n. 47307/2016) ci ricorda che il diritto di questione certamente non si attenua nel caso in cui la società sia dotata di un organo di controllo interno, ma anzi afferma che a ciascun socio spetta il potere di controllare l’operato degli amministratori e che, ai sensi dell’art. 2476 c.c., l'azione di responsabilità contro gli amministratori può essere promossa da ciascun socio, il quale può altresì chiedere, in caso di gravi irregolarità nella gestione della società, che sia adottato provvedimento cautelare di revoca degli amministratori medesimi. 

La giurisprudenza di merito, inoltre, ha delineato le modalità di accesso del socio alla documentazione societaria, stabilendo che il diritto previsto dall’art. 2476, c. 2, c.c. può essere esercitato mediante un professionista di fiducia, senza oneri a carico della società, nei luoghi in cui è custodita la documentazione e, ove richiesto, previa sottoscrizione di un accordo di non divulgazione dei dati ivi contenuti. 

Il tema della nullità degli atti di trasferimento di immobili abusivi è sempre stato spinoso e, conseguentemente, oggetto di vivaci dibattiti in giurisprudenza.
Sul punto, almeno per ora, Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione sembrano aver posto fine al contrasto con la sentenza n. 8230 del 22 marzo 2019.
In tale pronuncia, le Sezioni Unite stabiliscono i seguenti principi:

- La nullità comminata dall'art. 46 del d.P.R. n. 380 del 2001 e dagli artt. 17 e 40 della L. n. 47 del 1985 va ricondotta nell'ambito del comma 3 dell'art. 1418 Cod. civ., di cui costituisce una specifica declinazione, e deve qualificarsi come nullità “testuale”, con tale espressione dovendo intendersi, in stretta adesione al dato normativo, un'unica fattispecie di nullità che colpisce gli atti tra vivi ad effetti reali elencati nelle norme che la prevedono, volta a sanzionare la mancata inclusione in detti atti degli estremi del titolo abilitativo dell'immobile, titolo che, tuttavia, deve esistere realmente e deve esser riferibile, proprio, a quell'immobile;

- in presenza nell'atto della dichiarazione dell'alienante degli estremi del titolo urbanistico, reale e riferibile all'immobile, il contratto è valido a prescindere dal profilo della conformità o della difformità della costruzione realizzata al titolo menzionato.

Come ormai noto, il 16 marzo 2019 è entrato in vigore l’art. 379 del Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza, norma in materia di revisione e controllo delle società a responsabilità limitata.

Ovviamente, tale innovazione impatterà sulla redazione degli statuti delle S.r.l. che dovranno essere adeguati al modificato art. 2477 c.c.

E’ doveroso precisare, tuttavia, che la nuova normativa in esame è già immediatamente applicabile a tutte le S.r.l. costituite dal 16 marzo 2019 in poi, mentre la deadline prevista per l’adeguamento degli statuti delle S.r.l. costituite prima di tale data coincide con il 16 dicembre 2019. Infatti, la normativa concede 9 mesi a partire dall’entrata in vigore dell’art. 379 c.c.i.i. per consentire alle società di adeguare i propri statuti.

A tal proposito, qualora vi siano i presupposti per la nomina obbligatoria dell’organo di controllo, lo statuto delle S.r.l., alla luce delle disposizioni sopra citate, potrà prevedere alternativamente:

1) La nomina di un sindaco unico o del collegio sindacale e di un revisore; 2) la nomina di un sindaco unico o del collegio sindacale ai quali, però, devono essere attribuiti da statuto anche la funzione di revisione contabile; 3) nomina del solo revisore senza la necessità di nominare il sindaco unico o il collegio sindacale.

La normativa prevista dal nuovo Codice della Crisi d'Impresa e dell'Insolvenza avrà un notevole impatto su moltissime piccole e medie imprese che le stesse non potranno trascurare.

 

La Corte di Cassazione, nell’ordinanza n. 6569 del 07.03.2019, ha stabilito il principio secondo cui il conduttore è tenuto al pagamento del canone di locazione per il periodo necessario alla riparazione, qualora l’immobile sia stato riconsegnato con gravi danni.

La Corte ricorda l’orientamento della giurisprudenza di legittimità a mente della quale “nel caso in cui, in violazione dell’art. 1590 c.c., al momento della riconsegna l’immobile locato presenti danni eccedenti il degrado dovuto a normale uso dello stesso, incombe al conduttore l’obbligo di risarcire tali danni, consistenti non solo nel costo delle opere necessarie per la rimessione in pristino, ma anche nel canone altrimenti dovuto per tutto il periodo necessario per l’esecuzione dei lavori. “

A quanto sopra, la Suprema Corte aggiunge, altresì, che a fronte del diritto del proprietario di ricevere il canone, quest’ultimo non deve nemmeno provare di aver ricevuto, da parte di terzi, richieste per la locazione dell’immobile non soddisfatte a causa dei lavori di riparazione. 

Ovviamente, al proprietario spetterà di provare l'eventuale ulteriore danno rispetto al corrispettivo pattuito ai sensi dell'art. 1591 c.c.

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