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 MARCHIO LA MORGIA

 

Il Decreto Legislativo 8 novembre 2021 n. 198, ha previsto nuove norme per la cessione di prodotti agricoli ed alimentari, al fine di adeguare la normativa nazionale a quella della direttiva UE in materia di pratiche commerciali sleali. 

Le nuove disposizioni prevedono per la cessione di prodotti agricoli e alimentari l’obbligo di stipulare un contratto in forma scritta e dettagliano le pratiche commerciali considerate sleali, stabilendo una nuova disciplina sanzionatoria. 

E’ opportuno precisare che, la normativa si applica ad una categoria estesa di prodotti (agricoli, trasformati, alimentari, mangimi, sementi, ecc.) ed a tutte le cessioni professionali che coinvolgono una persona fisica o giuridica che vende prodotti (quindi non solamente i produttori agricoli), indipendentemente dal fatturato di fornitore e acquirente, ma non si applica ai rapporti con i consumatori, quando consegna e pagamento siano contestuali ed ai conferimenti di prodotti da parte di imprenditori agricoli e ittici a cooperative e organizzazioni di produttori di cui essi sono soci.

I contratti dei prodotti in questione dovranno necessariamente rispettare il requisito della forma scritta ed essere stipulati prima della consegna della merce e dovranno inoltre essere informati ai principi di trasparenza, correttezza, proporzionalità e reciproca corrispettività delle prestazioni.

Si prevede che possano essere stipulati “accordi quadro” con cui le parti potranno disciplinare più cessioni di prodotti, regolamentando le condizioni di compravendita, le caratteristiche dei prodotti, il listino prezzi, le prestazioni di servizi e le loro eventuali rideterminazioni. In tal modo, le singole forniture potranno essere regolate da documenti di trasporto o di consegna, fatture, ordini di acquisto con i quali l’acquirente commissiona la consegna dei prodotti. 

Gli elementi necessari che il contratto dovrà contenere sono: (i) durata del contratto; (ii) quantità e caratteristiche del prodotto venduto; (iii) prezzo; (iv) modalità di consegna e di pagamento del prodotto venduto.

Le pratiche sleali previste e sanzionate dalla sopra menzionata normativa sono: (i) imporre, direttamente o indirettamente condizioni di acquisto, di vendita o altre condizioni contrattuali ingiustificatamente gravose, nonché condizioni extracontrattuali e retroattive; (ii) applicare condizioni oggettivamente diverse per prestazioni equivalenti; (iii) subordinare la conclusione, l’esecuzione dei contratti e la continuità e regolarità delle medesime relazioni commerciali all’esecuzione di prestazioni da parte dei contraenti che, per loro natura e secondo gli usi commerciali, non abbiano alcuna connessione con l’oggetto degli uni e delle altre; (iv) conseguire indebite prestazioni unilaterali, non giustificate dalla natura o dal contenuto delle relazioni commerciali; (v) adottare ogni ulteriore condotta commerciale sleale che risulti tale anche tenendo conto del complesso delle relazioni commerciali che caratterizzano le condizioni di approvvigionamento.

Il Decreto attuativo specifica che rientrano nella definizione di “condotte commerciali sleali” anche il mancato rispetto dei “principi di buone prassi” e le pratiche sleali identificate dalla Commissione Europea e allegate allo stesso decreto.
Il comma 2, art. 4, del citato Decreto Ministeriale, a commento delle condotte sleali elencate dal comma 2, art. 62, del D.L. n. 1/2012, stabilisce che fanno parte delle condizioni contrattuali ingiustificatamente gravose anche le seguenti pratiche: (i) imporre servizi e/o prestazioni accessorie “senza alcuna connessione oggettiva, diretta e logica con la cessione del prodotto oggetto del contratto”; (ii) escludere l’applicazione di interessi di mora o il risarcimento delle spese di recupero crediti; (iii) determinare prezzi “sotto costo” alle cessioni effettuate dagli imprenditori agricoli; (iv) imporre al venditore, successivamente alla consegna del prodotto, un termine minimo prima di poter emettere la fattura, fatto salvo “il caso di consegna dei prodotti in più quote nello stesso mese, nel qual caso la fattura potrà essere emessa solo successivamente all’ultima consegna del mese”.

Non solo, il decreto legislativo in esame prevede anche aspre sanzioni in caso di mancato rispetto delle suddette norme, così come prevede un rigido termine (differente per i prodotti alimentari deteriorabili) per i pagamenti delle merci, oltre i quali si applica il tasso di mora.

Nelle imprese maggiormente strutturate, seppur non necessariamente di rilevanti dimensioni, i soggetti apicali, a causa delle numerose attività da espletare, nonché degli adempimenti previsti dalle normative di settore, sono indotti ad affidare ad altre figure aziendali lo svolgimento di taluni compiti.
Ciò comporta una responsabilizzazione del soggetto apicale anche per adempimenti aventi carattere operativo o altamente tecnico che in un’organizzazione aziendale articolata sono effettivamente affidati a soggetti gerarchicamente subordinati a colui che ricopre la posizione verticistica.   
Tale distribuzione di compiti deve consentire necessariamente, per le mansioni delegabili, anche di trasferire eventuali responsabilità penali connesse all’adempimento degli obblighi giuridicamente previsti.

La delega di funzioni, ossia quello strumento giuridico diretto alla ripartizione dei compiti all’interno delle imprese, nella legislazione in materia di disciplina degli alimenti non si rinviene né a livello nazionale, né comunitario, ma è di derivazione giurisprudenziale.
L’unico accenno sulla legittimità della delega in ambito alimentare è riscontrabile all’art. 2 del d.lgs. 155/1997 in cui il responsabile dell’impresa alimentare è espressamente definito come “il titolare dell’industria alimentare ovvero il responsabile specificamente delegato”.
Nel corso degli anni, la giurisprudenza ha tratteggiato quelli che possono essere considerati i requisiti minimi che una delega di funzioni deve possedere affinché sia astrattamente possibile considerarla valida ed efficace.

Innanzitutto, sotto il punto di vista oggettivo, viene in rilievo la complessità dell’organizzazione aziendale che deve essere tale da giustificare la necessità di decentrare compiti e responsabilità, diversamente la delega non potrebbe validamente rappresentare un limite alla penale responsabilità del legale rappresentante.

Inoltre, ai fini dell’esonero di responsabilità del delegante, al soggetto delegato, affinchè possano dirsi validamente trasferiti compiti e responsabilità, debba essere attribuito anche un potere di spesa idoneo allo svolgimento di tali funzioni senza che sia necessaria un’autorizzazione preventiva del delegante per l’impiego di tali somme.

Ovviamente, la predetta capacità finanziaria non può e non deve essere illimitata, ma commisurata ai compiti devoluti al delegato, in modo da potergli garantire un esercizio effettivo e concreto dei poteri di vigilanza e di intervento spettanti al delegante, soggetto geneticamente titolare della posizione di garanzia e titolare del precetto penale.

Sempre dall’analisi della copiosa giurisprudenza in materia, viene in rilievo un ulteriore requisito necessario ai fini della validità e dell’operatività della delega, ossia l’autonomia gestionale del delegato, intesa come potere di incidere sull’organizzazione del lavoro, sulla formazione dei dipendenti, 

Non solo, funzionalmente collegato all’esigenza giuridica di un’autonomia sia di spesa, sia di gestione, è l’ulteriore requisito della specificità della delega, il cui contenuto deve espressamente delimitare gli ambiti di responsabilità del delegato, nonché le funzioni ad esso trasferite e l’indicazione dei poteri di spesa.
A tal proposito, risulta rilevante la scelta del soggetto delegato, il quale deve necessariamente possedere conoscenze e competenze tecniche, scientifiche, amministrative e gestionali adeguate al corretto esercizio dei compiti oggetto di delega. 
Altrimenti, si potrebbe configurare in capo al delegante una responsabilità per aver scelto un soggetto privo della professionalità e dell’esperienza richiesta dall’esercizio dei compiti e poteri delegati (c.d. culpa in eligendo). 

Ad ogni buon conto, deve precisarsi che la presenza di una delega di funzioni rispondente ai requisiti appena richiamati non esonera tuttavia, sempre e comunque, il delegante da responsabilità, residuando in capo a quest’ultimo un obbligo di vigilanza sull’operato del delegato. Il delegante, dunque, continua ad essere titolare di doveri di vigilanza e di controllo sull’attività delegata, con la possibilità di una sua responsabilità nell’ipotesi di omessa o insufficiente attività di verifica sull’operato del designato.

 

 

 

Il 1° gennaio 2023 è entrata in vigore la normativa sull’etichettatura ambientale degli imballaggi (D.Lvo 116/2020).Da questa data non è più possibile immettere in commercio imballaggi privi dei nuovi requisiti. Invece, quelli già immessi in commercio, o provvisti di etichettatura alla data del 1° gennaio 2023, possono essere commercializzati fino a esaurimento delle scorte, purché ne sia dimostrata l’antecedenza all’entrata in vigore.

L'etichetta ambientale è prevista dall'articolo 219, comma 5, Dlgs 152/2006 (“Testo Unico Ambientale”) e la sua mancata osservanza è colpita con la sanzione amministrativa pecuniaria, prevista dall'articolo 261, co. 3 del medesimo Testo. 

Il citato articolo 219, co.5, nel suo testo attualmente vigente, prevede che: “Tutti gli imballaggi devono essere opportunamente etichettati secondo le modalità stabilite dalle norme tecniche UNI applicabili e in conformità  alle  determinazioni  adottate   dalla   Commissione dell’Unione europea, per facilitare la raccolta,  il  riutilizzo,  il recupero ed il riciclaggio degli imballaggi,  nonché  per  dare  una corretta informazione ai consumatori sulle destinazioni finali  degli imballaggi. I produttori hanno, altresì, l’obbligo di indicare, ai fini della identificazione e  classificazione  dell’imballaggio,  la natura dei materiali di  imballaggio  utilizzati,  sulla  base  della decisione 97/129/CE della Commissione”.

Sul punto un concreto supporto alle imprese è stato fornito direttamente dal Ministero della Transizione Ecologica, prima con la Circolare del 17.5.2021 e poi con le tanto attese “Linee Guida sull’etichettatura degli imballaggi”, adottate con D.M. n.114 del 16 marzo 2022(che sostanzialmente hanno ripreso i contenuti delle Linee Guida proposte dal CONAI). 

Ai sensi del D.Lvo 116/2020 (che ha recepito le precedenti direttive sui rifiuti) su tutti gli imballaggi (primari, secondari e terziari) immessi nel consumo in Italia i produttori devono indicare la codifica alfanumerica prevista dalla decisione 97/129/Ce (es. Alu 41 per l'alluminio). 

Le informazioni minime obbligatorieda riportare sulla nuova etichetta sono: 

-l’identificazione specifica del/i materiale/i di imballaggio: innanzitutto, ai sensi del 2° periodo del comma 5, per tutti gli imballaggi, inclusi quelli destinati a canali professionali, deve essere indicata la natura dei materiali di imballaggio, utilizzando i codici identificativi previsti dalla Decisione della Commissione europea 97/129/CE che indica, per ciascuna componente separabile manualmente dell’imballaggio, il materiale da cui è composto. Si considera separabile manualmente una componente che l’utente può separare completamente dal corpo principale (salvo eventuali residui irrisori di materiale che possono restare adesi dopo la separazione), con il solo utilizzo delle mani e senza dover ricorrere a ulteriori strumenti e utensili (e senza rischi per la sua salute ed incolumità). 

-la destinazione finale degli imballaggi: le informazioni sulle destinazioni finali degli imballi (ossia quelle che comunicano il corretto smaltimento dell’imballaggio a fine vita) si applicano agli imballaggi offerti al consumatore finale, in vendita o anche a titolo gratuito. 

Sono invece esclusi gli imballaggi destinati al canale commerciale/industriale (cd. B2B). 

Se differenziata o indifferenziata e, nel caso si tratti si raccolta differenziata, l’indicazione del materiale di riferimento (carta o plastica o vetro o metallo ecc.). È bene ricordare che la raccolta differenziata è gestita localmente dai Comuni, pertanto le indicazioni potrebbero cambiare da Comune a Comune. A tal proposito è utile inserire una formula del tipo: “Raccolta differenziata. Verifica le disposizioni del tuo Comune”.

Nel caso di incertezza sulla destinazione della merce (es. shampoo per parrucchieri, e-commerce) è possibile inserire nell’etichetta ambientale entrambe le informazioni.

È possibile inserire anche altre informazioni sull’etichetta ambientale, queste sono informazioni facoltative che il produttore o l’utilizzatore pone sull’imballaggio e che hanno il compito di sostenere il consumatore finale nello svolgimento per una raccolta differenziata di qualità.

L’articolo 219, comma 5, non disciplina dettagliatamente le modalità con cui le informazioni obbligatorie debbano essere indicate. La richiamata disposizione fa, tuttavia, riferimento alla necessità che gli imballaggi siano “opportunamente etichettati”. 

Come regola generale, le indicazioni vanno riportate in una delle seguenti forme:

a) su ogni singola componente separabile manualmente (tappo, nastro, pellicola…..);

b) se non possibile,sul corpo principale dell’imballaggio (bottiglia, scatola, vassoio….);

c) se non possibile,sull’imballaggio esterno di presentazione o su altro supporto che rende più facilmente leggibile l’informazione da parte del consumatore finale (es. etichetta esterna, bugiardino, libretto istruzioni).

Fermo quanto sopra, il MITE, con la Circolare del 17.5.2021, ha comunque dichiarato di considerare idonee – al fine di adempiere agli obblighi dell’articolo 219, co. 5 – anche ulteriori modalità di espressione semplificate, riassumibili come segue:

-       per gli imballaggi neutri (privi di grafica o stampa) e per gli imballaggi terziari da trasporto, le informazioni possono figurare sui documenti di trasporto che accompagnano la merce o su altri supporti esterni, anche digitali;

-       per i “preincarti”, intesi quali imballi a peso variabile utilizzati nella distribuzione (normalmente al banco del fresco), le informazioni possono essere riportate mediante schede informative rese disponibili nel punto vendita, oppure attraverso i siti internet con schede standard predefinite;

-       per i beni preconfezionati di origine estera, per gli imballaggi di piccola dimensione o con spazi stampati limitati e per gli imballaggi con etichettatura multilingua, viene consentito il ricorso a strumenti digitali;

-       infine, in relazione a ogni imballaggio si riferisce che “al fine di adempiere all’obbligo informativo … è consentito privilegiare strumenti di digitalizzazione delle informazioni (es. APP, QR code, siti internet)”.

Chi si occupa della grafica e della forma dell’etichettatura ambientale ha libertà di scelta sullo stile grafico, sulla forma e sui colori dell’etichettatura ambientale. L’etichettatura deve però essere chiara e leggibile. Sulla grandezza minima dei caratteri è opportuno fare riferimento a quanto previsto dall’art. 13 del Reg. UE 1169/2011, il carattere minuscolo del font scelto deve avere un’altezza pari o superiore a 0,9 mm oppure 1,2 mm. 

L’articolo 219, comma 5 rimane piuttosto vago nell’identificazione dei soggetti tenuti al rispetto degli obblighi di etichettatura, limitandosi a stabilire, nel suo 2 comma, che “i produttori hanno … l’obbligo di indicare … la natura dei materiali di imballaggio utilizzati…”. 

Con il termine “produttori” si identificano i fornitori di materiali di imballaggio, i fabbricanti, i trasformatori e gli importatori di imballaggi vuoti e di materiali di imballaggio.

In capo al produttore dell’imballaggio ricade l’onere di trasmettere all’interno della filiera l’informazione relativa all’identificazione dei materiali di imballaggio.

Il MITE ha chiarito che tale obbligo è posto a carico sia del produttore che dell’utilizzatore: occorre quindi che vengano stipulati specifici accordi tra le parti e che, nel caso sia l’utilizzatore ad apporre l’etichetta, il produttore si impegni comunque a fornire tutte le informazioni necessarie per una corretta etichettatura.

La portata della norma viene comunque chiarita dalla relativa disposizione sanzionatoria, contenuta nell’articolo 261, comma 3 del D.Lgs. 152/06 (TUA). Quest’ultima stabilisce infatti una sanzione amministrativa pecuniaria, da € 5.200 a € 40.000 (per etichetta assente o non conforme) a carico di “chiunque immetta nel mercato interno imballaggi privi dei requisiti di cui all'articolo 219, comma 5”, in una logica di responsabilità condivisa fra utilizzatore e produttore dell’imballaggio.

Se ne deduce, pertanto, che la responsabilità per la fornitura delle indicazioni ambientali viene posta a carico non solo dei produttori di imballaggi ma, più in generale, di tutte le imprese che “immettono sul mercato imballaggi”, compresi coloro che li utilizzino per il confezionamento delle proprie merci (come precisato anche dalla Circolare MITE del 17 maggio 2021).

Pertanto, ogni figura coinvolta nella “filiera agroalimentare” – potenzialmente, persino il mero commerciante di prodotti già preimballati – dovrà verificare ed assicurare la presenza delle informazioni. 

Da ultimo è opportuno precisare che gli obblighi di etichettatura interessano esclusivamente gli imballaggi immessi sul mercato italiano; mentre gli imballaggi per le esportazioni non sottostanno alla legge nazionale dell’etichettatura ambientale. Restano quindi esclusi gli imballaggi commercializzati in altri Paesi dell’Unione europea o in Stati terzi.

Attendiamo pazientemente, a questo punto, il prossimo anno per dare un giudizio definitivo sull’etichettatura ambientale. 

Nella giornata del 10 dicembre 2022, si è svolta, presso il Conservatorio “L. D’Annunzio” di Pescara, la seconda edizione di “Alimentadiritto”, evento sul diritto alimentare e la sua filiera, organizzato col Patrocinio del Mipaaf, della Regione Abruzzo, dell’Università degli Studi di Teramo, della Fondazione Europa Prossima, della Coldiretti Abruzzo, della Confindustria Chieti-Pescara, dell’Aiga sezione di Pescara.

All’iniziativa sono intervenuti: l’On.Luciano D’Alfonso, il Consigliere Regionale Antonio Blasioli, il Magnifico Rettore dell’Unite Prof. Dino Mastrocola, la Dott.ssa Di Tonno della Federazione Regionale Coldiretti, la Fondatrice della Diritto Futuro Editore Avv. Manuela Natale, la Prof.ssa Avv.Lorena Ambrosini Docente presso l’Unite, la Prof.ssa Federica Girinelli Docente presso l’Unite, il Luogotenente Saverio Vitto dei NAS Pescara, l’Avv. Federico Squartecchia, il Dott. Giuseppe Puglia, dell’Ufficio ICQRF Mipaaf Pescara e l’Ing. Maurizio Maria Ramazzotti.

In particolare, gli argomenti trattati in questa seconda edizione di Alimentadiritto vanno dalle pratiche sleali nell’ambito della filiera regolamentata dal diritto agroalimentare all’informazione nutrizionale tra scienza e fantasia, dalla riforma in materia di reati alimentari all’importantissimo fenomeno dei “novels food”, dalle procedure poste in essere ai fini dei controlli da parte dei NAS ai controlli per la repressione delle frodi alimentari.

Il convegno si è concluso con la presentazione del Volume “Alimentadiritto seconda edizione” in seno al quale sono confluite le significative monografie in tema di diritto alimentare degli Autori i quali hanno partecipato al Concorso Alimentadiritto 2.  E da ultimo con la proclamazione e premiazione degli Autori da parte dell’Avv. Manuela Natale, Fondatrice della Diritto Futuro Editore.

Tra i vincitori, accorsi da tutta Italia per ritirare il loro premio, c’è anche l’Avv. Francesco Giancristofaro.  La sua monografia ha riguardato la normativa sull’obbligo dell’etichettatura ambientale degli imballaggi che entrerà in vigore il 1° gennaio 2023. 

In data 11 settembre 2020 è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale il decreto legislativo 3 settembre 2020, n.116, che recepisce in Italia le precedenti direttive sui rifiuti.

In particolare l’art. 3 co. 3, lett. c) del suddetto decreto ha apportato modifiche al comma 5 dell’art. 219 del decreto legislativo n.152/2006 (Testo Unico Ambientale) in tema di “Criteri informatori dell'attività di gestione dei rifiuti di imballaggio”.

Il citato articolo 219, co.5, nel suo testo attualmente vigente, prevede quanto segue: “Tutti gli imballaggi devono essere opportunamente etichettati secondo le modalità stabilite dalle norme tecniche UNI applicabili e in conformità  alle  determinazioni  adottate   dalla   Commissione dell’Unione europea, per facilitare la raccolta,  il  riutilizzo,  il recupero ed il riciclaggio degli imballaggi,  nonché  per  dare  una corretta informazione ai consumatori sulle destinazioni finali  degli imballaggi. 

I produttori hanno, altresì, l’obbligo di indicare, ai fini della identificazione  e  classificazione  dell’imballaggio,  la natura dei materiali di  imballaggio  utilizzati,  sulla  base  della decisione 97/129/CE della Commissione”.

L’etichettatura ambientale degli imballaggi consiste quindi nell’applicare un’etichetta su tutti gli imballaggi immessi sul mercato italiano, per facilitarne la raccolta, il riutilizzo, il recupero e il riciclaggio. L’etichetta fornisce informazioni sia sulla naturadegli imballaggi, sia sul loro corretto smaltimento da parte del consumatore.

L’imminente entrata in vigore dell’etichetta ambientale rappresenta certamente un notevole passo avanti nella tutela dell’ambiente e significa che qualcosa si sta finalmente muovendo a favore della sostenibilità. 

Oggi, soprattutto nella filiera agroalimentare, la sostenibilità rappresenta un fattore determinante non solo per le scelte dei consumatori ma anche delle aziende che pongono sempre più attenzione all’impatto ambientale. 

Attendiamo pazientemente, a questo punto, il prossimo anno per dare un giudizio definitivo sull’etichettatura ambientale. 

Innanzitutto, per quanto concerne la questione relativa alla raccolta di tartufi sui terreni di proprietà, o detenuti in forza di altro titolo, l’art. 20 della Legge Regionale n. 94/2012 riferisce che "I proprietari e gli altri aventi diritto ed i conduttori che effettuano la ricerca e raccolta di tartufi sui propri fondi chiusi o debitamente chiusi, secondo le previsioni contenute nella presente legge, e su tartufaie controllate o coltivate non sono soggetti ai divieti concernenti l’ausilio ed il numero dei cani, l’uso degli attrezzi e la quantità dei tartufi raccolti”.

Pertanto, interpretando letteralmente la norma, il limite quantitativo alla raccolta di tartufi non si applica nel caso di fondi chiusi e in quello di tartufaie controllate o coltivate.

Orbene, a questo punto, è necessario interrogarsi su cosa la normativa intende affinché un fondo possa considerarsi chiuso e su quali debbano essere i requisiti, oltre a quelli naturalistici, affinché una tartufaia possa essere qualificata come controllata o coltivata.

L’unico richiamo alla nozione di fondo chiuso è rinvenibile nell’art. 6 della Legge in questione ove si legge "La raccolta dei tartufi non è consentita (…) nei fondi con recinzione, o equivalenti, di altezza non inferiore a metri 1,20, nel rispetto delle normative vigenti o equivalenti. I fondi chiusi, esistenti alla data di entrata in vigore della presente legge e quelli che si intendono realizzare successivamente, sono notificati ai competenti uffici regionali e nelle tartufaie controllate o coltivate, purché delimitate da apposite tabelle.”

Invece, l’art. 9 prevede che le tartufaie controllate o coltivate debbano essere delimitate con apposite tabelle, di dimensioni minime di 40 cm. di larghezza e 30 cm. di altezza, da collocare su pali od altri sostegni morti. Le tabelle vanno poste ad almeno 2,50 metri di altezza dal suolo, lungo il confine del terreno, ad una distanza tale da essere visibili da ogni punto di accesso ed in modo che da ogni tabella sia visibile la precedente e la successiva, con la scritta a stampatello ben visibile da terra Raccolta di Tartufi Riservata "TARTUFAIA CONTROLLATA" o Raccolta di Tartufi Riservata "TARTUFAIA COLTIVATA", a seconda dei casi, unitamente agli estremi dell’autorizzazione regionale. 

A proposito dell’autorizzazione regionale poc’anzi citata, l’art. 7 stabilisce che il competente Servizio politiche forestali, demanio civico ed armentizio della Giunta regionale, su richiesta di coloro che ne hanno titolo, rilascia l’attestato di riconoscimento delle tartufaie controllate o coltivate. 

Tuttavia, c’è da precisare che, dalla semplice lettura dell’art. 9, sembrerebbe che la delimitazione delle tartufaie controllate o coltivate sia requisito solo per l’esclusivo diritto di raccolta dei tartufi (nel senso che se non fossero delimitate anche soggetti estranei potrebbero legittimamente raccogliere), nonché per la richiesta di risarcimento danni causati da animali selvatici.

Infatti, si legge “I conduttori o gli aventi diritto a qualsiasi titolo sui fondi, per riservarsi il diritto esclusivo di raccolta dei tartufi nelle tartufaie controllate o coltivate, le devono delimitare con apposite tabelle (…)” e ancora "La recinzione delle tartufaie controllate o coltivate è condizione necessaria ai fini dell’ottenimento di eventuali risarcimenti per danni causati da selvatici.” 

La normativa regionale sulla raccolta dei tartufi è ormai risalente, nonché carente e contraddittoria in alcuni punti. Pertanto, si auspica ad un necessario e celere aggiornamento.

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