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 MARCHIO LA MORGIA

 

Nella giornata del 10 dicembre 2022, si è svolta, presso il Conservatorio “L. D’Annunzio” di Pescara, la seconda edizione di “Alimentadiritto”, evento sul diritto alimentare e la sua filiera, organizzato col Patrocinio del Mipaaf, della Regione Abruzzo, dell’Università degli Studi di Teramo, della Fondazione Europa Prossima, della Coldiretti Abruzzo, della Confindustria Chieti-Pescara, dell’Aiga sezione di Pescara.

All’iniziativa sono intervenuti: l’On.Luciano D’Alfonso, il Consigliere Regionale Antonio Blasioli, il Magnifico Rettore dell’Unite Prof. Dino Mastrocola, la Dott.ssa Di Tonno della Federazione Regionale Coldiretti, la Fondatrice della Diritto Futuro Editore Avv. Manuela Natale, la Prof.ssa Avv.Lorena Ambrosini Docente presso l’Unite, la Prof.ssa Federica Girinelli Docente presso l’Unite, il Luogotenente Saverio Vitto dei NAS Pescara, l’Avv. Federico Squartecchia, il Dott. Giuseppe Puglia, dell’Ufficio ICQRF Mipaaf Pescara e l’Ing. Maurizio Maria Ramazzotti.

In particolare, gli argomenti trattati in questa seconda edizione di Alimentadiritto vanno dalle pratiche sleali nell’ambito della filiera regolamentata dal diritto agroalimentare all’informazione nutrizionale tra scienza e fantasia, dalla riforma in materia di reati alimentari all’importantissimo fenomeno dei “novels food”, dalle procedure poste in essere ai fini dei controlli da parte dei NAS ai controlli per la repressione delle frodi alimentari.

Il convegno si è concluso con la presentazione del Volume “Alimentadiritto seconda edizione” in seno al quale sono confluite le significative monografie in tema di diritto alimentare degli Autori i quali hanno partecipato al Concorso Alimentadiritto 2.  E da ultimo con la proclamazione e premiazione degli Autori da parte dell’Avv. Manuela Natale, Fondatrice della Diritto Futuro Editore.

Tra i vincitori, accorsi da tutta Italia per ritirare il loro premio, c’è anche l’Avv. Francesco Giancristofaro.  La sua monografia ha riguardato la normativa sull’obbligo dell’etichettatura ambientale degli imballaggi che entrerà in vigore il 1° gennaio 2023. 

In data 11 settembre 2020 è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale il decreto legislativo 3 settembre 2020, n.116, che recepisce in Italia le precedenti direttive sui rifiuti.

In particolare l’art. 3 co. 3, lett. c) del suddetto decreto ha apportato modifiche al comma 5 dell’art. 219 del decreto legislativo n.152/2006 (Testo Unico Ambientale) in tema di “Criteri informatori dell'attività di gestione dei rifiuti di imballaggio”.

Il citato articolo 219, co.5, nel suo testo attualmente vigente, prevede quanto segue: “Tutti gli imballaggi devono essere opportunamente etichettati secondo le modalità stabilite dalle norme tecniche UNI applicabili e in conformità  alle  determinazioni  adottate   dalla   Commissione dell’Unione europea, per facilitare la raccolta,  il  riutilizzo,  il recupero ed il riciclaggio degli imballaggi,  nonché  per  dare  una corretta informazione ai consumatori sulle destinazioni finali  degli imballaggi. 

I produttori hanno, altresì, l’obbligo di indicare, ai fini della identificazione  e  classificazione  dell’imballaggio,  la natura dei materiali di  imballaggio  utilizzati,  sulla  base  della decisione 97/129/CE della Commissione”.

L’etichettatura ambientale degli imballaggi consiste quindi nell’applicare un’etichetta su tutti gli imballaggi immessi sul mercato italiano, per facilitarne la raccolta, il riutilizzo, il recupero e il riciclaggio. L’etichetta fornisce informazioni sia sulla naturadegli imballaggi, sia sul loro corretto smaltimento da parte del consumatore.

L’imminente entrata in vigore dell’etichetta ambientale rappresenta certamente un notevole passo avanti nella tutela dell’ambiente e significa che qualcosa si sta finalmente muovendo a favore della sostenibilità. 

Oggi, soprattutto nella filiera agroalimentare, la sostenibilità rappresenta un fattore determinante non solo per le scelte dei consumatori ma anche delle aziende che pongono sempre più attenzione all’impatto ambientale. 

Attendiamo pazientemente, a questo punto, il prossimo anno per dare un giudizio definitivo sull’etichettatura ambientale. 

Innanzitutto, per quanto concerne la questione relativa alla raccolta di tartufi sui terreni di proprietà, o detenuti in forza di altro titolo, l’art. 20 della Legge Regionale n. 94/2012 riferisce che "I proprietari e gli altri aventi diritto ed i conduttori che effettuano la ricerca e raccolta di tartufi sui propri fondi chiusi o debitamente chiusi, secondo le previsioni contenute nella presente legge, e su tartufaie controllate o coltivate non sono soggetti ai divieti concernenti l’ausilio ed il numero dei cani, l’uso degli attrezzi e la quantità dei tartufi raccolti”.

Pertanto, interpretando letteralmente la norma, il limite quantitativo alla raccolta di tartufi non si applica nel caso di fondi chiusi e in quello di tartufaie controllate o coltivate.

Orbene, a questo punto, è necessario interrogarsi su cosa la normativa intende affinché un fondo possa considerarsi chiuso e su quali debbano essere i requisiti, oltre a quelli naturalistici, affinché una tartufaia possa essere qualificata come controllata o coltivata.

L’unico richiamo alla nozione di fondo chiuso è rinvenibile nell’art. 6 della Legge in questione ove si legge "La raccolta dei tartufi non è consentita (…) nei fondi con recinzione, o equivalenti, di altezza non inferiore a metri 1,20, nel rispetto delle normative vigenti o equivalenti. I fondi chiusi, esistenti alla data di entrata in vigore della presente legge e quelli che si intendono realizzare successivamente, sono notificati ai competenti uffici regionali e nelle tartufaie controllate o coltivate, purché delimitate da apposite tabelle.”

Invece, l’art. 9 prevede che le tartufaie controllate o coltivate debbano essere delimitate con apposite tabelle, di dimensioni minime di 40 cm. di larghezza e 30 cm. di altezza, da collocare su pali od altri sostegni morti. Le tabelle vanno poste ad almeno 2,50 metri di altezza dal suolo, lungo il confine del terreno, ad una distanza tale da essere visibili da ogni punto di accesso ed in modo che da ogni tabella sia visibile la precedente e la successiva, con la scritta a stampatello ben visibile da terra Raccolta di Tartufi Riservata "TARTUFAIA CONTROLLATA" o Raccolta di Tartufi Riservata "TARTUFAIA COLTIVATA", a seconda dei casi, unitamente agli estremi dell’autorizzazione regionale. 

A proposito dell’autorizzazione regionale poc’anzi citata, l’art. 7 stabilisce che il competente Servizio politiche forestali, demanio civico ed armentizio della Giunta regionale, su richiesta di coloro che ne hanno titolo, rilascia l’attestato di riconoscimento delle tartufaie controllate o coltivate. 

Tuttavia, c’è da precisare che, dalla semplice lettura dell’art. 9, sembrerebbe che la delimitazione delle tartufaie controllate o coltivate sia requisito solo per l’esclusivo diritto di raccolta dei tartufi (nel senso che se non fossero delimitate anche soggetti estranei potrebbero legittimamente raccogliere), nonché per la richiesta di risarcimento danni causati da animali selvatici.

Infatti, si legge “I conduttori o gli aventi diritto a qualsiasi titolo sui fondi, per riservarsi il diritto esclusivo di raccolta dei tartufi nelle tartufaie controllate o coltivate, le devono delimitare con apposite tabelle (…)” e ancora "La recinzione delle tartufaie controllate o coltivate è condizione necessaria ai fini dell’ottenimento di eventuali risarcimenti per danni causati da selvatici.” 

La normativa regionale sulla raccolta dei tartufi è ormai risalente, nonché carente e contraddittoria in alcuni punti. Pertanto, si auspica ad un necessario e celere aggiornamento.

Lo Studio ha assistito, dinanzi al Tribunale di Lanciano, un correntista che proponeva domanda giudiziale nei confronti dell’istituto di credito, domandando la nullità del contratto di conto corrente (ancora aperto) avendo riguardo all’illegittima capitalizzazione trimestrale degli interessi a debito, alle commissioni di massimo scoperto, agli interessi illegittimamente applicati e comunque ad ogni spesa e/o onere illegittimi ovvero non contrattualmente dovuti alla Banca e, per l’effetto, l’accertamento dell’esatto dare avere tra le parti.

All’esito della controversia, il Tribunale di Lanciano ha dichiarato la nullità parziale del contratto di conto corrente, accertando un credito del correntista nei confronti della banca.

Ad ogni buon conto, ciò che risulta interessante in punto di diritto della decisione in esame, riguarda l’esatta qualificazione giuridica della domanda.

Secondo il Tribunale di Lanciano, è stata corretta la qualificazione della domanda quale accertamento negativo e non ripetizione di indebito, attesa la pendenza dei contratti in corso di validità, infatti, rammentando il principio espresso dalla Corte di Cassazione, con ordinanza n. n. 21646 del 5 settembre 2018, è stato chiarito che, a conto ancora aperto, non è proponibile anche una domanda di condanna al pagamento in via di ripetizione di indebito o ad altro titolo.

 

La vicenda trae origine da un’opposizione avverso l’atto di precetto notificato unitamente ad un contratto di finanziamento munito di formula esecutiva. L’opponente deduce la nullità e/o inefficacia del precetto per inesistenza di un valido titolo esecutivo, atteso che il contratto redatto in forma pubblica azionato in via esecutiva non poteva ritenersi ex se idoneo a costituire titolo esecutivo, trattandosi di contratto di finanziamento, stipulato nella forma dell’apertura di credito, ma sfornito della prova dell’effettiva erogazione delle somme.

Ebbene, il Tribunale adito ha accolto l’opposizione, affermando che, a prescindere dalla qualificazione del contratto concluso tra le parti come mutuo ovvero come contratto di finanziamento, deve osservarsi che è pacifico che il contratto di finanziamento stipulato con atto pubblico notarile, prevedendo la restituzione della somma promessa solo dopo la concreta erogazione del finanziamento stesso risulta carente dei requisiti di cui all’art 474 cpc con conseguente sua inidoneità a costituire titolo esecutivo ai fini della restituzione coattiva delle somme promesse sia nei riguardi del beneficiario del finanziamento sia nei confronti del fideiussore. 

Tuttavia, precisa il Tribunale che tale documento contrattuale, pur se carente all’origine, potrebbe acquistare successiva valenza di titolo esecutivo per effetto della sua integrazione tramite una quietanza rilasciata dal debitore nelle forme della scrittura privata, relativamente alle somme ricevute dal mutuante, atto quest’ultimo idoneo ad integrare i requisiti di certezza, liquidità ed esigibilità del credito. 

Non solo, precisa ulteriormente il Tribunale che al fine di verificare se un contratto di mutuo possa essere utilizzato quale titolo esecutivo, ai sensi dell'art. 474 c.p.c., occorre verificare, attraverso l'interpretazione di esso integrata con quanto previsto nell'atto di erogazione e quietanza o di quietanza a saldo ove esistente, se esso contenga pattuizioni volte a trasmettere con immediatezza la disponibilità giuridica della somma mutuata, e che entrambi gli atti, di mutuo e di erogazione, rispettino i requisiti di forma imposti dalla legge. 

                                                                                                                                                                                                          

Il caso in esame trae origine dal recesso per gravi motivi esercitato illegittimamente da un noto marchio di moda nei confronti del proprietario di un immobile locato, assistito dall’Avv. Mario La Morgia.

La conduttrice inviava al locatore una dichiarazione di recesso anticipato per gravi motivi, ai sensi dell’art. 27 della L. 392/1978, richiamando la grave crisi economica dovuta alla pandemia e l’incertezza sulla durata dell’epidemia ed i tempi dell’eventuale ripresa economica, come causa determinante la dismissione del negozio esercitato nell’immobile oggetto di locazione, a cui seguiva la restituzione dell’immobile.

Il locatore, non ritenendo sussistere i presupposti per il recesso sopra indicato, conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale di Lanciano la società conduttrice chiedendo la dichiarazione di invalidità ed inefficacia del recesso per gravi motivi o, in subordine, di dichiarare che tale recesso valesse come recesso ordinario che, tuttavia, nel caso di specie, non poteva essere esercitato prima di un certo periodo contrattualmente previsto.

Sul punto, il Tribunale di Lanciano opera dapprima una ricostruzione giurisprudenziale sui criteri per valutare la sussistenza dei gravi motivi, affermando che “possono costituire gravi motivi solo quegli eventi qualificabili, rispettivamente, come sopravvenuti alla conclusione del contratto (o a una sua modifica), involontari (ossia non riconducibili causalmente alla volontà delle parti) e imprevedibili e che siano tali da incidere sostanzialmente sulla capacità economica del richiedente, così da rendere oltremodo gravosa la prosecuzione del rapporto locatizio; questa valutazione di gravosità deve essere condotta su un piano oggettivo, avuto riguardo all’effettivo squilibrio del sinallagma negoziale e alle conseguenze che ne siano derivate sull’entità e sull’organizzazione aziendale nel suo complesso; la “gravosità”, al contrario, non può ritenersi integrata per effetto di una mera valutazione negativa di convenienza – posta in essere dal conduttore – sulla eventuale prosecuzione del rapporto contrattuale ma deve avere una connotazione oggettiva.”

Continua il Tribunale di Lanciano precisando che i gravi motivi, ad ogni buon conto, devono essere specificati nella comunicazione di recesso, perché la specificazione dei motivi inerisce al perfezionamento stesso della dichiarazione di recesso e risponde alla finalità di consentire al locatore la precisa e tempestiva contestazione dei motivi sul piano fattuale o della loro idoneità a legittimare il recesso medesimo.

Ebbene, secondo la sentenza in esame, nel caso di specie non sarebbe stato soddisfatto il suddetto requisito, dal momento che la dichiarazione, infatti, conteneva il generico richiamo alla crisi produttiva ed economica insorta, ed alla difficoltà di prevederne il termine. 

A tal proposito, motiva il Tribunale “Se dunque può essere riconoscibile la sussistenza del grave motivo a fronte del mero richiamo alla emergenza pandemica, va detto che in riferimento al generico illustrare le difficoltà economiche conseguenti, la modalità espositiva non è risultato idoneo a consentire al locatore il controllo dei motivi addotti per l’esercizio del recesso.”

Non solo, la sentenza prosegue affermando che alla data specifica del recesso non risultavano concretizzate le ragioni del grave pregiudizio economico, atteso che “assume poi valenza determinante il requisito della gravità (nei termini sinora spiegati, quindi anche inerente l’insostenibilità economica del prosieguo del contratto) deve sussistere al momento in cui il recesso viene operato: se la legge accorda alla parte la facoltà di recedere in presenza di gravi motivi, questi devono essere concreti ed attuali al momento in cui si comunica il recesso.”

Pertanto, secondo il Giudice, “non è sindacabile la libera scelta di operare il recesso in luogo di altre azioni volte alla revisione del canone in presenza dei presupposti, e nell’ambito dell’esecuzione contrattuale secondo principi di buona fede da parte di entrambi i contraenti, tuttavia è chiaro ciò che non permette di riconoscere l’esistenza del grave motivo legittimante il recesso di cui all’art. 27” e, di conseguenza, la sentenza conclude che il recesso operato dal marchio di moda non può considerarsi valido ai sensi dell’art. 27 (gravi motivi), ma solo come recesso convenzionale, accogliendo la domanda subordinata del proprietario.

Conseguenza di quanto sopra è che il conduttore è stato condannato a pagare in favore del proprietario tutti i canoni non versati fino al momento in cui il recesso convenzionale poteva essere contrattualmente esercitato.

 

 

 

 

 

 

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LO STUDIO

Lo studio nasce a Lanciano nel 1987 dall’iniziativa dell’Avv. Camillo La Morgia ed oggi riunisce professionisti con differenti background e competenze consolidate in una varietà di settori del diritto.

Le metodologie di lavoro adottate dallo Studio si caratterizzano per un approccio fortemente focalizzato su specifiche aree di attività che consente di fornire assistenza e consulenza legale.

La capacità organizzativa e il livello di esperienze consentono allo Studio di gestire anche operazioni complesse, garantendo sempre un lavoro accurato e un saldo rapporto fiduciario tra il singolo professionista e il cliente.

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